storie dall'oscuro viandante

  1. bestie
    tratto da :Bestie di Sandrone Dazieri

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    sandrone
    By Ruen il 25 Jan. 2012
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    Max mi fissava con gli occhi spenti porgendomi il caffè sul bancone del
    bar. Era il primo giorno di primavera, faceva freddo e pioveva. L'albergo
    Capriolo sembrava ancora più vecchio e triste nella sua solitudine da
    Provinciale della Val Brembana. Il punto esatto sulla carta era tra Isola di
    Fondra e Trabuchello, a settecento metri di altitudine e a quarantacinque
    chilometri da Bergamo. I turisti di passaggio erano una miseria, nonostante
    la vista del Monte Torcola e, con il bel tempo, della cima di Pietra Quadra.
    Si riempiva solo a Natale, quando le stazioni sciistiche intorno a Foppolo
    erano al completo. Per il resto dell'anno dovevamo accontentarci delle
    coppiette clandestine e di qualche comitiva di tedeschi finita fuori strada.
    Oltre ai camionisti della San Pellegrino, che si fermavano a pranzo attratti
    dal menù casalingo a prezzo fisso.
    La scarsità di clienti faceva il paio con quella del personale. Eravamo in
    sei: io, Max che fungeva da barista e portiere, Ciccio, cameriere a tempo
    pieno, Giovanna, cameriera a mezzo servizio, Rosa, settantenne addetta ai
    piani, e Nano lo sguattero. Poi c'era la Direttora, nostra signora e padrona,
    da due giorni in città a litigare con banche e fornitori. Il padre si era
    indebitato sino al collo per ottenere la licenza di aprire una spa, e poi per
    costruirla nel prato sul retro. Era morto lo stesso giorno in cui gli avevano
    chiuso la linea di credito, volando fuori da un tornante con l'automobile.
    La spa, da allora, era rimasta come l'aveva lasciata, un parallelepipedo in
    pietra arenaria ecocompatibile, senza arredi, muri divisori o allacciamenti
    alla rete idrica. Sarebbe rimasta così, probabilmente, sino alla fine dei
    tempi.
    Max si grattò i baffi da pescegatto. «Ti ho sentito rientrare, stanotte. Che
    ore erano? Le quattro?»
    «Sì mamma.» Max aveva la stanza proprio accanto alla mia.
    «Eri sbronzo.»
    «Che ne sai?»
    «Sbattevi contro i mobili.»
    Ecco perché avevo un livido sulla coscia sinistra. Rosa arrivò preceduta
    dal fischio lacerante dell'aspirapolvere e io mi rifugiai nel silenzio del mio
    regno oltre le porte basculanti della sala. Era una cucina piuttosto piccola
    anche per un albergo con solo trenta camere e cinquanta coperti: otto metri
    nel lato lungo, sei in quello corto, piastrellata come si conviene fin quasi al
    soffitto. Sul fondo si apriva la porta che dava al cortile, nella parete destra
    una finestrona con le sbarre e i vetri smerigliati. Al centro il motore di
    tutto, otto fuochi d'acciaio e la piastra quadrata di ghisa. Il mio unico
    contributo all'arredo, quando ero arrivato due anni e rotti prima, era stato
    uno scaffale di metallo vicino alla porta del cortile che si era riempito un
    po' alla volta di libri di cucina e dei romanzi di fantascienza che leggevo
    tra un servizio e l'altro.
    Nano stava già pelando le patate e mi salutò biascica...

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